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Il nostro motto, Il passato è un territorio sconosciuto, riprende il titolo dell'importante libro di David Lowenthal, The Past is a Foreign Country, che a sua volta riprende l'incipit del romanzo The Go-Between di L.P. Hartley, "The past is a foreign country, they do things differently there" (il passato è un paese straniero, là fanno le cose in modo diverso). Come ci ricorda Lowenthal, il passato è ovunque, che sia celebrato o respinto, atteso o ignorato, il passato è onnipresente. La distruzione dei Buddha di Baghram non cancella il passato, al contrario, il vuoto talvolta può essere anche più significativo dell'oggetto, l'assenza a volte è pi&ugeave visibile della presenza.

Un tempo confinato solo nei musei, il passato si esibisce nei vari paesi per puntellare regimi, celebrare antiche glorie, creare nuove nazioni. Partiti politici si combattono brandendo spezzoni diversi del passato di un paese, traggono dubbi paragoni e favoriscono audaci ricostruzioni nell'industria dell'heritage. Chi ha pochi monumenti antichi li ricrea nei parchi storici, che ne ha troppi a volte li ignora e li lascia andare in rovina.

"Il passato, osserva Lowenthal, è un paese straniero i cui lineamenti sono modellati dalle predilezioni del presente, la sua estraneità addomesticata dalla nostra conservazione delle sue vestigia.... Non è più la presenza del passato che ci parla, ma la sua pastness [la sua qualità di essere passato, N.d.T.]. Ora è un paese straniero con un commercio turistico in espansione, così il passato ha subito le naturali conseguenze della popolarità. Più è apprezzato per conto suo e meno diventa reale o rilevante. Non più riverito o temuto, il passato è inghiottito dal presente in continua espansione. Allarghiamo il nostro senso della contemporaneità a spese della comprensione della sua connessione con il passato".

Questo sito ha fondamentalmente due scopi: uno è di carattere archeologico in generale e riguarda sia la pratica che la teoria archeologica, tenendo presente che abbiamo interessanti musei archeologici e facoltà di archeologia. Nonostante in Italia sia ancora troppo presente la perniciosa influenza dell'idealismo che ha di molto tagliato le solide basi scientifiche positiviste a favore di un'inclinazione più artistico-storicista, pur mantenendo l'aspetto di freddezza tassonomica e oggettivistica delle scienze positiviste, noi faremo tesoro delle scuole angloamericane e ci lasceremo tentare dall'antropologia e dalla teoria sociale nell'interpretare le reliquie del passato.

D'altra parte un mucchio di spazzatura palafitticola o un ago di bronzo perduto da un'antica cucitrice parla più al nostro cuore che al nostro cervello e ci fa desiderare di riempire di sangue e carne quelli che ci appaiono solo come scheletri maltrattati dal tempo.

Il secondo scopo è l'esplorazione del passato di questa regione e in particolare il suo patrimonio archeologico, tenendo presente non solo i reperti del passato in sé, ma anche la storia della loro scoperta, valutazione o svalutazione. Ci interessa scoprire il paesaggio antico e il paesaggio della memoria, il micro toponimo rivelatore e il criterio con cui si sono formate le collezioni dei nostri musei. Ci interessa la bellezza del pezzo pregiato, della sorprendente opera d'arte salvata fortunosamente e il contesto di un villaggio o di una intera regione legata da rapporti, commerci e conflitti con comunità vicine e lontane. Nella consapevolezza che avremo sempre un tessuto con troppi buchi e che le più sofisticate procedure scientifiche non potranno mai fare a meno di capacità interpretative sofisticate per portare alla luce non solo pietre e ossa, ma anche persone e vite già vissute. Sapendo che l'archeologia è una scienza e un'arte. È elitaria e popolare. È profondamente politica.

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L'idea di cercare l'origine delle cose è, secondo Foucault (1970) una particolare caratteristica del pensiero occidentale e un breve excursus su come i primi antiquari e archeologi sbrogliarono l'immenso problema di dare un senso al passato umano senza l'aiuto di biblioteche, musei e tutte le facilitazioni date dai viaggi e dal progresso tecnico non deve farci dimenticare il contesto sociale e intellettuale, con tutte le sue costrizioni, in cui questi primi avventurosi esploratori del passato umano operavano.

Nella Gran Bretagna del XVII secolo il vescovo Ussher aveva usato la Bibbia per definire la data della Creazione della Terra: il 4004 a.C., e le stime di altri studiosi non erano molto diverse. In epoca illuminista il nuovo interesse per il paesaggio e per i viaggi promosse il riconoscimento e la registrazione di antichi siti e l'abitudine di raccogliere e collezionare manufatti e opere d'arte del passato, il che provocò investigazioni più approfondite, unite ai primi scavi, sulle antiche civiltà. Lo studio delle origini umane stimolò una riflessione sul concetto di tempo e stabilì un legame duraturo tra l'archeologia e le scienze, in particolare la geologia e la biologia. All'inizio del XIX secolo gli studiosi danesi che per primi organizzarono gli oggetti preistorici in tre successive Età della Pietra, del Bronzo e del Ferro, assegnarono a queste tre età dei periodi di durata temporale assai brevi e fu solo negli anni 1860 che le pressioni provenienti dai progressi della geologia e della biologia portarono finalmente alla fine del paradigma biblico e all'adozione di una scala temporale assai più lunga. Dovremo però aspettare un secolo prima di ottenere una fondamentale revisione della datazione della preistoria, con l'introduzione e la successiva accettazione dei risultati della datazione al radiocarbonio negli anni 1950. La parola preistoria fu coniata nel XIX secolo, e accettata solo dopo il 1850, per descrivere l'esistenza di quel lungo periodo dell'esistenza umana privo di documentazione storica scritta che veniva rivelandosi tramite i metodi archeologici sviluppatisi in quello stesso secolo e che in seguito furono applicati anche allo studio di importanti fenomeni come il passaggio dalla caccia-raccolta all'agricoltura e le origini del fenomeno urbano.

Il concetto di preistoria è forse il più importante contributo dell'archeologia alla nostra conoscenza dell'umanità, basata quasi esclusivamente sul'interpretazione delle testimonianze materiali (Greene 2002). La nascita dell'archeologia preistorica nel XIX secolo rappresentò un cambiamento notevole dell'idea che le persone avevano di se stesse, mentre i primi progressi dello studio della Grecia e di Roma antiche rese importante la documentazione di siti e manufatti, di documenti e iscrizioni, anche se il termine in sé, archeologia, era gi&agarve stato usato da Jacob Spon nei suoi libri su Atene e altri luoghi (Etienne 1992). Sfortunatamente, come nota Trigger (1989), la maggioranza degli archeologi storici dava maggiore importanza alla parola scritta rispetto alla testimonianza fisica e continuava a considerare l'archeologia preistorica di molto inferiore allo studio archeologico di periodi che possono essere illuminati da testi scritti. Un atteggiamento di spocchia intellettuale che non è del tutto scomparso neppure oggi.

Infatti gli archeologi tendono ancora a disporsi in due categorie, i preistorici e gli archeologi storici, che distinguini gli studiosi dei periodi per cui non ci sono testimonianze scritte da quelli che possono contare su documenti d'epoca, entro la cui cornice possono adattare i ritrovamenti archeologici. Gli studiosi della preistoria devono perciò creare un qualche tipo di cornice dentro la quale dare senso a siti e manufatti, in genere con l'aiuto dell'antropologia che fornisce utili analogie. Anche se nel XIX secolo vi erano maggiori differenze, oggi i metodi usati da entrambi i tipi di archeologi sono in gran parte gli stessi; tuttavia la preistoria come fenomeno distinto visto attraverso occhi occidentali non è affatto un concetto accettato in tutto il mondo (Kehoe 1991). Come afferma un archeologo Aymara boliviano, Mamani Condori (1989:51), "la preistoria è un concetto occidentale secondo il quale le società che non hanno sviluppato la scrittura - o un sistema di rappresentazione grafica equivalente - non hanno storia. Ciò si adatta perfettamente nella cornice di pensiero evoluzionista tipico delle culture occidentali".

L'archeologia pubblica è dove gli archeologi professionali lavorano con le istituzioni, suggerendo leggi designate a conservare siti e scoperte di reperti antichi, gestendo collezioni museali, presentando il passato al pubblico, lavorando con i costruttori per ridurre l'impatto di edifici e progetti di sviluppo sui resti del passato. Attualmente la maggior parte degli archeologi lavora nell'archeologia pubblica più che nelle università dove si svolge tradizionalmente la ricerca.

L'archeologia ha sempre suscitato l'interesse della gente: essa ha le sue radici nel collezionismo antiquario e nello studio dei manufatti antichi. Le società archeologiche locali, nate nel XVIII secolo e ancora fiorenti, servirono a focalizzare l'interesse degli archeologi dilettanti. Le grandi scoperte archeologiche, come quella di Troia o delle tombe dei Faraoni attrassero un interesse mediatico enorme, ma, nonostante l'interesse popolare, la maggior parte dell'archeologia ha mirato a lungo a creare e pubblicare quasi esclusivamente conoscenza accademica. Fin dagli anni 1970, però, l'archeologia si è trasformata in una serie di campi professionali che si estendono ben al di là degli interessi accademici e il termine Antropologia Pubblica esprime questa crescita e questa diversità. Inoltre, i musei non solo si sono moltiplicati notevolmente negli ultimi trent'anni, ma soprattutto hanno cominciato a essere considerati qualcosa di più di ripostigli per antichità, con i pezzi migliori esposti per essere ammirati dal pubblico istruito. I musei oggi si preoccupano di più dell'esperienza dei visitatori e in molti casi si assumono il compito di educare e divertire il pubblico con le tecniche di esposizione animata usata nei parchi a tema. I dirigenti museali sono più attivi nell'interpretare che semplicemente nell'esporre le loro collezioni, e per questo motivo molti musei hanno iniziato a usare molti più testi e informazione visiva per dare contesto ai reperti e aiutare i visitatori a capirli, invece di abbandonarli a loro stessi esponendo criptiche etichette con arcani numeri di catalogo e vocaboli descrittivi rigidamente tecnici. Il materiale esposto può essere reso più accessibile anche tramite presentazioni interattive al computer e siti web accattivanti. Molti musei sono stati accoppiati, almeno all'estero, a centri interpretativi e di accoglienza visitatori e a veri e propri parchi tematici dove la gente incontra l'archeologia. Così è nata la nuova disciplina della Museologia o Museum Studies, che copre oltre alla parte accademica riguardante collezioni e archivi anche quella della gestione manageriale di un'istituzione museale vitale.

La spinta verso l'archeologia pubblica, nel senso dell'interesse del pubblico per l'archeologia è dovuta essenzialmente a tre fattori: il movimento conservazionista, i neonazionalismi ed etno-nazionalismi e il turismo culturale. Per quel che riguarda il movimento per la conservazione delle antichità, anche se fin dal XIX secolo alcuni paesi del Nord Europa avevano promosso una legislazione protettiva degli antichi monumenti, fu il boom edilizio e infrastrutturale dopo la Seconda guerra mondiale che, mettendo in pericolo l'esistenza di tanti luoghi e monumenti antichi, fece prendere coscienza della necessità di studiarli e preservarli, portando a un'espansione della legislazione protettiva in moltissimi paesi, alla costituzione di organismi come l'UNESCO, che hanno un ruolo attivo nella protezione del passato, e alla nascita di aziende private di archeologi che operano sotto contratto con il Cultural Resources Management (USA), l'Archaeological Heritage Management (UK) e agenzie simili altrove. Con la nascita e lo sviluppo del movimento 'verde' per la conservazione degli ambienti naturali, ha avuto nuova spinta anche l'idea che, come la natura, anche il passato sia una risorsa limitata e minacciata che merita protezione.

Il secondo fattore ha visto, con il processo di decolonizzazione, i nuovi stati post-coloniali ereditare molte idee dei vecchi imperi, e cercare nel proprio passato e nei musei di tipo occidentale le proprie origini culturali 'autentiche'. Allo stesso modo, soprattutto in Nordamerica, Australia e Nuova Zelanda, sono proliferati i musei delle minoranze indigene, che trovano radici culturali 'autonome' nelle esposizioni museali e cercano di fondare un'archeologia 'indigena'. A questo fenomeno fanno riscontro i molti musei etnici di settori di popolazione d'immigrazione più o meno recente, che hanno promosso settori particolari nell'ambito dell'archeologia coloniale, industriale e urbana. Ai primi due fattori si intreccia il terzo, il turismo culturale, un affare milionario globalizzato che fa muovere ingenti masse di popolazione verso mete turistiche che rendono accessibile il proprio passato o quello di altri popoli.

Questi tre fattori hanno contribuito a creare un fenomeno nuovo: la celebrazione di massa del passato come mai in precedenza, quando l'apprezzamento delle vestigia antiche era riservato a un ristretto gruppo di aristocratici e, in seguito, di ricchi borghesi istruiti. Con l'avvento del turismo di massa e low cost si è espansa anche l'industria dell'heritage, un concetto che include un po' di tutto, dai paesaggi alle collezioni museali, dagli edifici alle istituzioni, dalle ricostruzioni delle tradizioni 'viventi' e di eventi storici, perfino impressioni emotive, con il sostegno di organismi come l'UNESCO, che promuove come patrimonio dell'umanità di tutto, dai castelli del Reno e alle aree del prosecco o dei formaggi francesi. Come afferma Shanks (2005), l'heritage è ciò che presenta valori del passato e il valore del passato consiste nel suo contributo al senso contemporaneo d'identità.

Tuttavia, osserva Shanks (2005), il dibattito sull'heritage riguarda i valori, la questione cruciale dell'archeologia pubblica, dato che l'etica della conservazione trae legittimità dal valore annesso ai resti del passato. Spesso la disputa nasce da una concezione proprietaria del passato, posseduto da alcuni, ma non da altri, oppure soggetto a dinamiche di potere squilibrato. Così alcuni archeologi hanno contestato il loro ruolo di meri custodi delle risorse del passato concepito come proprietà culturale, in favore di un ruolo di mediatore culturale tra differenti interessi nel passato. L'Archeologia Pubblica riguarda quindi il negoziato tra differenti gruppi di persone e i loro interessi in un mondo che si estende ben al di là della disciplina accademica, in uno spazio transdisciplinare e all'arena politica.